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GODSPEED YOU BLACK EMPEROR!

© Lorenzo Casaccia, 2002

 

Yanqui U.X.O. (6.5/10)


 

GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR - Yanqui U.X.O. (Constellation)

Puo' la musica strumentale essere politica?
La risposta a questa domanda e' determinante per stabilire il valore di "Yanqui U.X.O.", uno dei dischi dell'anno per la mole di commenti che ha suscitato, un disco fatto per far discutere, un disco che trabocca di istanze di protesta, nessuna delle quali pero' trasmessa attraverso la musica.
E d'altronde come potrebbe essere? I cinque brani sono rock da camera come ci si aspettava, post rock e musica sinfonica, epici crescendo e pigre staticita', aperture siderali e sussurri di melodia.

L'attenzione va quindi a tutto quello che non e' musica. Il nome, con il punto esclamativo spostato piu' in la'. La copertina, che ritrae tre bombe appena sganciate da un aereo. I titoli dei brani, dove spicca "09-15-00", la data in cui Ariel Sharon rese omaggio ad un luogo sacro sia arabo che israeliano provocando cosi' di fatto la seconda Intifada (la cosa e' oppurtunamente spiegata nelle note di copertina: sospetto che molti fans ignorino completamente l'episodio in questione). Il titolo del disco, dove "U.X.O" e' una abbreviazione per le bombe inesplose, e "Yanqui" si legge come "yankee".
E per finire il retrocopertina, con una buffissima ragnatela che tenta di dimostrare come, di comproprieta' in comproprieta', si possano legare le quattro grandi major della musica (Vivendi/Universal, BMG, Sony/Columbia, AOL Time Warner) con l'industria degli armamenti (ma allora vale per tutto: che dire della Juventus che si fa sponsorizzare dal petrolio di Gheddafi? che dire dei telefonini di "3", che altro non sono se non uno dei tanti rami della Hutchinson Worldwide che compare anche sulla ragnatela dei GBYE?).

Ammetto che alcune frasi della press release sono suggestive: "yanqui is post-colonial imperialism is international police state is multinational corporate oligarchy. godspeed you! black emperor is complicit is guilty is resisting. the new album is just music".
Ammetto che "Rockets fall on Rocket Falls" e' uno dei loro brani migliori.
Ammetto che, ahime', per il fan medio di rock quattro scarabocchi su una copertina costituiscono il non plus ultra dell'analisi politica.

Ma questo non toglie che dischi veramente politici sono quelli del primo Dylan, o, meglio ancora, quelli di Mark Stewart / Pop Group, fra l'altro genialmente in anticipo sui tempi (infatti in pochissimi lo capirono e bisogna rileggerselo oggi).
E non toglie neppure che un disordine di idee politiche come quello trasmesso da questo disco non vale assolutamente 10 minuti passati a leggersi The Economist, The Guardian, "No Logo" o un libro di Lomborg o Finkelstein.

Tant'e'. Se scrivi che e' solo rock, ti accusano di sminuirlo. Se prendi le istanze politiche seriamente e le critichi come tali, ti dicono poi che era solo un disco di rock.
Di fronte a un tale bombardamento di informazione/provocazione (inusitato per un disco strumentale) la musica conta ancora qualcosa?

No.

(6.5/10)