Torna all'archivio recensioni

GRANT LEE BUFFALO & GRANT LEE PHILLIPS

Fuzzy (1993) (8/10)
Mighty Joe Moon (1994) (8/10)
Copperopolis (1996) (5.5/10)
Jubilee (1998) (6.5/10)
Grant Lee Phillips: Ladies' Love Oracle (2000)
Grant Lee Phillips: Mobilize (2001) (7/10)
Grant Lee Phillips: Virginia Creeper (2004) (6/10)

Grant Lee Phillips aveva cominciato la propria carriera musicale a Los Angeles, negli Shiva Burlesque, un gruppo Iosangelino di rock psichedelico. Phillips e la sezione ritmica degli Shiva (il batterista Joey Peters e il polistrumentista Paul Kimble) formano i Buffalo agli inizi degli anni Novanta.

Il gruppo era stellare nel vigore quasi punk della loro esecuzione di brani che sembravano uscire da certe pagine di Young o del country-folk dei Sessanta/Settanta. I primi due dischi furono strepitosi. Il terzo, su cui la major puntava per farli sfondare, mediocre. Il quarto torno' decente ma ormai non gliene fregava piu' niente a nessuno.

Abbandonata la Warner Phillips decide di non demordere ed nel 1999 ricomincia la gavetta: serate settimanali nei locali a Los Angeles (soprattutto l'amato Largo), dischi venduti a mano con la moglie a fine concerto, un CD venduto solo online e ai concerti (Ladies Love Oracle) e poi nel 2001 un disco "vero" per la Zoe.

Il talento nella scrittura di Mobilize rimane tutto sommato intatto, non al livello del meglio dei Grant Lee Buffalo, ma decisamente buono: le radici sono sempre quelle della canzone acustica, il che puo' voler dire, di volta in volta, Young, Drake o Dylan. Le capacita' interpretative ci sono invece tutte, soprattutto una voce sognante ed unica, capace di levarsi in un limpido falsetto, o di diventare quasi sermone melodrammatico o sussurro confidenziale.
Musicalmente la novita' e' l'uso dell'elettronica. Un uso nemmeno troppo limitato, ma di fatto qui l'elettronica e' soltanto uno strumento per poter fare tutto da se'. "See America", in apertura, e' una ballata delle sue migliori, voce, chitarra e un ritmo da una beatbox a conferire un aggiuntivo effetto straniante. Le fanno il paio "Sleepless Lake", verso la fine del disco, un'altra ballata sognante, e "April Chimes", come un Nick Drake arrangiato da Jim O'Rourke. Non sempre l'elettronica giova al risultato finale: la pur graziosa "Sadness Soot" inizia come un banale brano radiofonico e stenta poi a riprendersi.
Sul fronte piu' classico, "Humankind" recupera "Honey Don't Think" (da Mighty Joe Moon dei Buffalo). E i coretti byrdsiani di "Spring Released" e "Beautiful Dreamers" insieme con lo shuffle natalizio di "We All Get A Taste" portano un po' di buonumore. E' invece parzialmente inedita nel suo canzoniere la drammaticita' della acida "Mobilize", con arrangiamenti da trip-hop, voce filtrata e cadenza epica.
Un bentornato a un musicista che in molti hanno amato.

Phillips pratica poi una svolta country nel 2004 con Virginia Creeper.

Fin dai tempi dei Grant Lee Buffalo, Phillips e' portatore di uno dei suoni piu' "americani" di sempre. "Americano" come sono "americani" il fingerpointing ed ogni gesto di Dylan, il canto sforzato e tutto di cuore di Springsteen, e la varia umanita' delle canzoni di Waits. Gli accordi di Phillips sull'acustica, lasciati risuonare, la sua dizione che ogni volta allunga le vocali, e tutta la scrittura sono sempre stati cristallini e innocenti, quasi ingenui nella loro purezza.
Tra le sue note e le sue melodie c'e' l'evocazione (non la citazione) di tutto un universo americano in cui il nostro smemorato mondo recente e' cresciuto: i ragazzoni generosi con gli occhi azzurri, il rock, il jazz, l'hip-hop, le riviste di musica, Hollywood, le top model, i figli dei fiori, le droghe, i movimenti giovanili, le Harley, il computer, il cellulare, internet, le e-mail, la California, la casetta con giardino per tutti.
Grant Lee Phillips e' il suono di una 'ingenuita' e di una innocenza che forse l'America ha perso per sempre.