WHITE HIP-HOP
Mike Skinner e’ un geezer. Slug e’ uno slacker. EL-P e’ un bro.
Doseone, Sole e Alias sono dei dudes.
Due dettagli fondamentali
accomunano questa truppa eterogenea.
Il primo e’ che fanno rap. Il secondo e’ che sono bianchi.
di Lorenzo
Casaccia
Associare
l’hip hop alla musica e alla cultura nere e’ stato da sempre una ovvieta’,
una costante del paesaggio musicale. Le fondamenta di questa prospettiva si
stanno pero’ sgretolando sotto la spinta di una varieta’ di dischi “bianchi”,
mainstream e underground, inglesi e americani, di divi e di antidivi.
Parlare
di hip hop vuol dire, prima ancora che di musica, parlare di testi, parole,
atteggiamenti, attitudini e gesti. Parlare di un hip hop bianco vuol dire
assegnare un nuovo significato a queste variabili.
Sarebbe
troppo tentare di individuare un movimento musicale, o peggio una scena, dietro
a questo drappello disordinato di rimatori. Sara’ forse piu’ ambizioso azzardare
che siamo di fronte ad un punto di svolta culturale ed usare questo assunto
come chiave di lettura.
Ne
“The Marshall Mathers LP” di Eminem c’e’ un momento fondamentale, tra
la quinta e la settima traccia, in cui viene messo in scena un divertente
siparietto (uno skiz, come si dice in gergo). Subito dopo aver ultimato
il disco Eminem va a colloquio con il discografico Steve Berman. Dopo averlo
fatto accomodare, Berman inaspettatamente gli rovescia addosso una cascata
di insulti per dirgli che il suo disco non vale nulla. « Gli altri dischi
di hip hop vanno in classifica » gli dice « perche’ parlano di schermi TV
enormi, pistole e bionde. Il tuo invece fa schifo perche’ parla solo di omosessuali.
Non posso vendere un disco cosi’ ».
Si potrebbe spiegare tutto, o quasi, a partire da li’. Nell’ultimo decennio dire hip hop nero vuol dire gangsta, la variante tipicamente West Coast che ha sostituito l’invettiva sociale di Public Enemy e soci con l’esaltazione della vita di strada, con l’egocentrismo dello sbruffone maschilista e con la mitizzazione del criminale del ghetto, il thug.
I
campioni del gangsta sono passati spesso dalle pagine musicali a quelle della
cronaca per il loro coinvolgimento in episodi di violenza, in un delirante
mescolarsi di arte e vita. In questo senso un fattore decisivo fu la guerriglia
urbana di Los Angeles del 1992, in cui i testi dei gangsta rappers
diventarono realta’, macchine bruciate, linciaggi e spranghe alle porte della
prestigiosa UCLA. Come a dire, non sono solo canzoni che si sentono alla radio,
ma sono “riflessi della vita reale che cercano di attrarre l’attenzione verso
i problemi del razzismo e dell’oppressione economica”, per usare le parole
un po’ datate di Tricia Rose[1],
che per prima ha studiato questo fenomeno cruciale dell’America contemporanea.
A
partire da allora la conquista del mercato bianco americano da parte dell’hip
hop si e’ fatta sempre piu’ netta. Negli Stati Uniti e’ bianca la grande maggioranza
degli acquirenti di hip hop e sono bianchi la maggior parte degli acquirenti
di merchandising hip hop. Ne e’ nato un complesso gioco di specchi,
tra dinamica sociale e commercio. Da una parte i bianchi, che indossano baggy
clothes (jeans e magliette di varie misure piu’ larghi), girano il cappellino
al contrario, scimmiottano la parlata
e l’attitudine dei rappers, e addirittura si chiamano l’un l’altro
nigga (lo slang con cui i neri si riferiscono a se stessi). Dall’altra
gli stessi rappers, che fanno a gara nel costruirsi quella immagine
da “duri” che permette loro di avere successo presso i bianchi, sfoderando
tatuaggi, turpiloquio, e racconti di droga, violenza e sesso (dove le donne
sono chiamate bitches, “cagne”).
E’
un gioco delle parti che azzera le riflessioni di Tricia Rose sulle tensioni
sociali e le sostituisce, in pieno stile americano, con le logiche del mercato.
Per cui quando il divo hip-hop Ja Rule dichiara su Rolling Stone[2]
che i suoi vecchi nemici del ghetto ancora cercano di fargli la pelle non
sai quanto il tutto sia solo una posa ad uso e consumo dei lettori (quelli
di Rolling Stone sono storicamente bianchi), e soprattutto quanto questa posa
sia consapevole (Ja Rule sa di comportarsi come un animale da circo o riescono
in qualche modo a tenergli nascosta la cosa?).
La
figura epica dell’hip hop degli anni ’90 e’ Jay-Z, ex magnaccia, ex
spacciatore e maestro indiscusso del boasting, cioe’ del fare dischi
(peraltro irresistibili) in cui “ci si vanta”. A vantarsi bisogna essere capaci,
e Jay-Z lo e’, non dimenticando mai di rammentare agli ascoltatori quante
donne, quante case, quante macchine e quanta cocaina ha tra le mani e insultando
incessantemente tutti i rivali musicali.
Come
gia’accennato, il pubblico bianco e’ il fruitore principale del genere, secondo
una identificazione che replica la teoria del “White Negro”
di Norman Mailer.
« C’era quindi una nuova schiera
di avventurieri... che usciva di notte a caccia di azione con un codice di
comportamento mutuato da quello dei neri. L’individuo “alla moda” ha assorbito
le sinapsi esistenziali del Nero, e, rispetto a tutti i punti di vista pratici,
puo’essere considerato come un Nero Bianco (“White Negro”). »
Questo
era Mailer, nel 1957[3].
Quello che segue e’ invece Robin D.G. Kelley, sociologo e professore universitario,
nel 1996[4].
« [Per i bianchi] il ghetto nero e’ un luogo di avventure, di violenza a briglia
sciolta e di fantasia erotica che vengono consumate con lo spirito del voyeur.
»
La
fascinazione dei bianchi per un certo stereotipo di nero ha quindi radici
ben piu’ profonde di quelle piantate dal hip hop, il quale non ha fatto altro
che amplificarle attraverso l’industria musicale.
L’ingresso in scena dell’hip hop ha anche complicato i meccanismi attuali. Dacche’ l’hip hop mainstream e’ sempre piu’ celebrazione del “duro” (ed abbiamo visto che da dieci anni e’ cosi’), e’ sempre piu’ una musica consumata da bianchi. Soprattutto nell’America urbana, il “figo” bianco, il tipo cool, e’ quello che ha assorbito gli aspetti piu’ hip della cultura nera (o meglio, quegli aspetti della cultura nera propagandati da MTV).
Per
un ovvio meccanismo di emulazione anche i bianchi si sono messi a fare hip
hop. Pero’, differenza fondamentale, il “bianco” (o lo stereotipo del bianco)
proviene da un sostrato sociale diverso da quello del “nero” (o dello stereotipo
del nero): non possiede, in un certo senso, la “materia prima”.
Manca,
come ha scritto il critico Oliver Wang[5],
lo street cred, parola chiave in ambito hip hop che indica la
credibilita’ di star parlando di qualcosa che si ha effettivamente vissuto.
Tanto per capirsi, appartiene allo stereotipo dell’artista a caccia dello
street cred anche la Jennifer Lopez che canta
« Don't be fooled by the rocks that I got
I'm still, I'm still Jenny from the block
Used to have a little, now I have a lot
No matter where I go, I know where I came from (from the Bronx!) »[6] (da “Jenny From The Block”)
come
a dire che, nonostante tutto il successo, e’ancora la ragazza della porta
accanto. Una cosa ridicola quanto si vuole, ma se ha fatto una canzone cosi’
vuol dire che il punto e’ importante e che qualcuno ci crede.
L’assenza
dello street cred per i bianchi e’ la chiave di volta delle nostre
osservazioni. La conseguenza immediata e’ che l’hip hop dei bianchi parla
d’altro. La conseguenza un po’ meno immediata e’ che questo spostamento di
prospettiva sta letteralmente creando un nuovo genere e potrebbe avere una
portata che va ben al di la’ della carriera di ognuno dei suoi singoli protagonisti.
Al
limite, ci permettiamo di azzardare, l’hip hop potrebbe sostituire (o per
lo meno affiancare) il cantautorato bianco come forma espressiva “intima”
e “personale”. Sarebbe un cambiamento epocale, di cui pero’ gia’ ci sono avvisaglie,
da Alias a The Streets, da Atmosphere a Eminem. Scrive Sole in una nota a
margine di “Selling Live Water”:
« Non mi sono mai definito un poeta.
Se sono un poeta, ho un spettro di argomenti veramente limitato ed il lessico
di un tredicenne. Se sono un rapper, allora perche’ sono cosi’ tanto
una fighetta? »[7]
E
allora cos’e’?
Cominciare
un articolo sull’hip hop bianco dalla Anticon e’ persino una banalita’, tanto
e’ l’inchiostro gia’ versato in materia.
Dal punto di vista musicale il collettivo di Oakland e Berkeley e’quello
che piu’ si allontana dagli stereotipi del genere, almeno in America. Il fatto
che anche l’aspetto testuale differisca dalle coordinate usuali dell’hip hop
e’ solo una logica conseguenza. La Anticon si offre pure come “collante” involontario
per questo articolo. Nel Giugno 1998 DoseOne, Sole, Alias e Jel hanno registrato
un disco sotto l’estemporaneo moniker Deep Puddle Dynamics assieme
a Slug e Ant del gruppo Atmosphere. Nel 1997 ancora DoseOne ha partecipato
a Scribble Jam, una gara di abilita’ per rappers, perdendo
in semifinale contro un allora sconosciuto Eminem.
Con
la Anticon, inoltre, la teoria “hip hop bianco = nuovo cantautorato” trova
terreno fertile. I recenti dischi di Alias e Sole sono particolarmente significativi
in questo senso, realizzati interamente in prima persona (rompendo quindi
il tipico dualismo tra l’MC che cura i testi ed il DJ che cura le basi), e
profondamente personali.
Per
Alias e’ stato addirittura scomodato un nuovo genere, gothic
hip hop, nell’impossibilita’ di rendersi conto di cosa sia il disco.
Non e’ black, non e’ violento, non e’ realizzato da un gruppo, non
parla di storie di strada, ma anzi e’ completamente centrato intorno al suo
autore, quasi psicanalitico. Prima di Alias l’introspezione non era mai stata
parte del hip hop. “The
Other Side Of The Looking Glass”
porta alla ribalta insicurezze, depressioni, e indugi mentali :
« I didn’t say hello? How socially
dead of me.
How are you? Insert small talk here »[8]
(da “Jovial Costume”)
« It’s depression’s best friend here to give you that empty feeling
once again back in hip hop form. »[9]
(da “Pill Hiding”)
« I love the smell of musty records and I’m sickened by spring break,
Another reason I developed my own education.
Imagine if everyone could be themselves.
Today I walked against the herd and chuckled
’cuz I found it quite ironic »[10]
(da “Dying To Stay”)
Alias
e’ suo malgrado il terzo vertice del triangolo ideale che tocca anche EL-P
ed Eminem.
Sole
e’ stato il fondatore della Anticon ed il suo principale finanziatore. I ragazzi
si trasferirono della Bay Area perche’ Sole era un informatico ed alla fine
dei ’90 dalle parti della Silicon Valley i soldi giravano a palate sulla scorta
dell’high-tech e delle dotcom. Sole e’ anche la coscienza politica
della Anticon. “Selling Live Water” e’ un disco “politico” ma
in senso profondamente diverso rispetto a, per fare un esempio, Public Enemy
o Last Poets. E’ piuttosto un disco di “scoperta politica”, ed in questo senso
e’ tipicamente “bianco”: una serie di riflessioni ad alta voce sulla scorta
di una auto-educazione incasinata che corre lungo i binari di Noam Chomsky
a Naomi Klein, vecchi e nuovi classici della controcultura (bianca).
« I’ve been to a million cities
and they all look the same
people laugh and talk the same, girls all flirt the same,
employees all dream the same.
Love your grid and your comfort zone,
but never ask the person next to you
what’s missing other than time, piece of mind,
or some entertainment above the fifth grade level.
Stay ignorant and easily corralled through conservative reforms
’till we’re broke from the half measures,
taxed to the teeth to fund the cast system.
Living it up for our stereotypes and I know nothing,
but at least I know;
while they vote Green and they drink their Espressos,
discussing film festivals, all as a write-off. »[11]
(da “Plutonium”)
« Go buy a Playstation 2; this is what your enemy looks like:
an infrared blotch on a screen.
For 30 lb shells, they run, run out of breath,
rest, stop and get killed,
cuz god wants McDonalds plots on every Desert Shield.
I’m just trying to eat well, but there’s not healthy food at gas stations.
A lot of us can’t sleep well since being raped;
since public school is military training,
don’t be putting acid in the teacher’s coffee.
Read about the ‘20s, the ‘40s, and the ‘60s;
walk out, get a GED, and go to Berkeley University »[12]
(da “Selling Live Water”)
Viste
le premesse non c’e’da stupirsi che quelli della Anticon, essendo i piu’ radicali,
siano anche i piu’ dileggiati nel mondo dell’underground hip hop (che
negli States e’ tutt’altro che trascurabile). Basterebbe andare a spulciare
gli innumerevoli forum su internet dove DoseOne e compagnia sono additati
come autori di rumore informe, e dove gli eroi sono invece EL-P, i Cannibal
Ox e la Def Jux.
Ma la rilevanza della Anticon e’ inattaccabile. C’e’ un momento chiave alla fine del quinto brano di “Selling Live Water”, intitolato “Respect pt 3”, quando fa capolino un loop rubato ai Portishead. Forse e’ un caso che il campione sia stato piazzato in un brano che porta come titolo un’altra parola chiave della cultura black (il “rispetto” o respect). Ma non ci sembra casuale l’associazione tra questi hippies che “sbiancano” l’hip hop e i bianchissimi Portishead, che dieci anni fa hanno portato la cultura dei beats dai sobborghi di Bristol a tutti i dinner party della borghesia per bene di Londra.
Le
novita’ covavano gia’ allora, ogni volta che si passava il sabato sera in
un appartamento elegante e con i pavimenti in legno, facendo passare uno spinello
e oscillando la testa a seguire il ritmo pigro del trip-hop e la voce
levigata di Beth Gibbons.
Restiamo
a Londra perche’, al di la’ della Anticon, il vero fenomeno dell’anno passato
e’ stato “Original Pirate Material” di The Streets. E
Mike Skinner e’ forse quello che, tra tutti, meriterebbe di piu’ la copertina
di quest’articolo.
Per
The Streets l’emancipazione dagli stereotipi dell’hip hop di colore e’ totale,
e non e’ un caso che Skinner, tra tutti gli artisti trattati in quest’articolo,
sia l’unico inglese e non americano. Il suo “hip hop bianco” e’ qualcosa di
veramente nuovo, e lo si sente seguendo passo passo i suoi quadretti di vita
giovanile nei sobborghi inglesi (ma potrebbero applicarsi quasi tutti alla
provincia italiana).
« Sit back in yer throne, turn
off yer phone
Cos this is our zone
Videos, television, 64’s, Playstations
Few herbs and bit of Benson »[13]
(da “Has It Come To This”)
Skinner
ha fatto il salto di qualita’ perche’ e’ il primo rapper bianco veramente
credibile all’interno di un contesto sociale («We walk the tightrope
of street cred », come dice lui stesso). “Original Pirate Material” e’ quindi
il primo disco in cui lo street cred e’ diventato qualcosa d’altro:
il pub, la noia, lo spinello, la disoccupazione, le prese in giro tra amici
(“Don’t Mug Yourself”), i ricordi dei rave e della prima pasticca di ecstasy. In altri tempi versi come
« Point to the sky feel free
A sea of people all equal smiles in front and behind me
Swim in the deep blue see cornfields sway lazily
All smiles all easy where are you from, what you on and what’s your story
[...] We all smile we all sing
The weak become heroes then the stars align
We all sing all sing all sing »[14]
(da “Weak Become Heroes”)
non
sarebbero certo finiti in un disco di rap. Un rapper di colore non direbbe
mai che “i deboli diventano eroi”, perche’ nel rap di colore, soprattutto
americano, non c’e’ spazio per “i deboli”.
Come molto materiale Anticon, “Original Pirate
Material” e’ anche un disco di rap che si ascolta senza doversi sentire un
“White Negro”. E’ per questo motivo, tanto semplice da comprendere quanto
scottante da enunciare, che il disco vende bene in Norvegia, in Germania e
persino negli States (ed e’ in fondo e’ lo stesso fenomeno di identificazione
che ha reso “Trainspotting” un film di culto, seguendo l’analogia proposta
da Beppe Recchia tra un musicista com Skinner, un regista come Leigh e uno
scrittore come Welsh[15]
). Si potrebbe obiettare che quello di The Streets non e’ un rap ortodosso,
perche’ in realta’ meta’ parla e meta’ canta, e perche’ la base e’ un garage
ben diverso dai beats dei N.E.R.D. o di un Timbaland. Ai fini del nostro
discorso, poco conta.
In
molti hanno paragonato The Streets a Eminem. E’ una analogia un po’ semplicistica
cui sfugge l’essenza dei entrambi. Se il geezer di The Streets ha un
alter ego americano, questo e’ lo slacker di Atmosphere.
Atmosphere
e’ la creatura di Slug, un rapper del Midwest per il quale i critici hanno
dato fondo alla loro creativita’ nel creare nomi. Emo hip hop
e’ quello piu’ significativo, perche’ traccia un implicito parallelo tra l’attitudine
dei rapper bianchi di “parlare d’altro” e, in campo rock,
la svolta dell’emocore (intimo, personale) rispetto alla tradizione
dell’hardcore (pubblico, sociale).
Slug
e’ un altro personaggio che fino a poco tempo fa sarebbe sembrato parecchio
fuori posto nel circo dell’hip hop. Le sue canzoni solo le storie di uno slacker,
un cazzone pieno di sfighe, soprattutto con le donne. Versi che si piangono
addosso come:
« She abandoned me, left me in
the cold
No suprises, I guess that’s how it goes »[16]
(da “A Girl Named Hope”)
« Fuck you Lucy for leaving me
Fuck you Lucy for not needing me
I wanna say fuck you because I still love you »
(da “Fuck You Lucy”)[17]
costituiscono,
nella loro semplicita’, una frattura radicale con il mondo dell’hip hop di
colore.
Non
ci sara’ da stupirsi allora se si risentira’ parlare di Atmosphere. Un suo
recente live a San Francisco ha fatto il pieno di ragazzi bianchi sotto i
21 anni, “gli stessi che hanno reso Eminem cosi famoso"[18].
E alle sue spalle c’e’ gia’ un manipolo di emo-rappers che scalpita,
sotto la denominazione comune dei Rhymesayers, una sorta di Anticon meno fortunata.
New
York non finisce mai di stupire. Stai camminando a Wall Street, nel cuore
bianco d’America, scansando i broker piu’ stressati del pianeta. Poi pieghi
verso est: dieci minuti e sei su quella meraviglia che e’ il ponte di Brooklyn,
in compagnia di qualche maniaco del jogging. Altri dieci minuti, giri a sinistra
e sei a Brooklyn, ma ti sembra un altro pianeta, una specie di Napoli multirazziale
dove, a differenza di Manhattan, tutti sembrano conoscere tutti e da turista
ti senti subito fuori posto.
A
Brooklyn sta EL-P, e non e’ un caso che nella galleria dei rapper bianchi
vada a lui la palma del piu’ “nero” e del piu’ rispettato, tanto dai neri
quanto dai bianchi. Nel paragrafo precedente abbiamo proposto un parallelo
tra Atmosphere e The Streets. In questo ne azzardiamo un altro tra EL-P ed
Eminem. « Potra non piacervi. Potrete non essere d’accordo con quel che dico.
Ma mi sono spogliato di tutto e quello vedrete nel disco sono io, nudo». Potevano
essere parole di Eminem, ma invece era EL-P sul suo “Fantastic Damage”[19].
A
livello underground EL-P e’ stata una delle sensazioni del 2002, con “Fantastic
Damage” che ha venduto quasi cinquantamila copie solo a New York. Di nuovo,
visto che i dischi di hip hop li comprano i bianchi, non c’e’ da stupirsi.
Finalmente, dal punto di vista dell’acquirente, ecco un disco che non parla
di tensioni sociali o della vita ad Harlem (come ad esempio “The Cold Vein”
dei Cannibal Ox, per rimanere in ambito Def Jux).
“Fantastic
Damage” e’ invece un disco che va alla caccia di demoni personali. E sono
demoni tipicamente “da bianchi”, come quelli di “Stepfather Factory”.
« Get a funny feeling in your tummy
when your mommy cries
something between woozy and confusion
and you spend your thought on how the sadness
in your mommy can be rooted out,
burned, scorned, turned out, forgotten
so you can concentrate on candy and little baby dolls or
whatever it is that normal kids get to think about »[20]
(da “Stepfather Factory”)
Lo
stepfather e’ il patrigno, e con il folle tasso di divorzi in America
sempre piu’ giovani si ritrovano ad avere un patrigno. Questo non significa
ovviamente che non esistano rapper neri che vengono da famiglie spaccate.
Anzi. La differenza e’ che un rapper nero non ne farebbe il soggetto di una
canzone perche’, dal suo punto di vista, in un brano rap “non si deve” parlare
dei fatti propri.
E
invece di fantasmi e fatti privati “Fantastic Damage” e’ pieno. Un disco di
catarsi per il quale si potrebbe ripetere quanto detto per The Streets: in
altri tempi questo sarebbe stato un disco con voce e chitarra, non di rap.
Ma
l’accenno a EL-P non puo’ concludersi prima di ricordarne, oltre ai temi,
anche lo stile, che e’ quello di una penna raffinata come poche nel
mondo dell’hip hop. Forse in modo un po’ snob, si fa fatica a rendersi conto
che un ragazzo dall’educazione disordinata o nulla sia stato in grado di scrivere:
« Trust is a commodity crushed
by Pol Potter
Your cookie cutter laws contain flaws in philosphy
Tumbling down a flight of Escher bach steps delight »[21]
dove
sono finiti nella stessa frase Pol Pol, la pottery (le ceramiche che
contengono i cookie, cioe’ i biscotti), Escher (l’artista famoso per
le sue scale – gli steps – surreali e impossibili) e Bach (dal titolo
del leggendario libro di Hofstadter “Godel, Escher, Bach”).
E
non ha finito il liceo?
Fin
dall’inizio ci abbiamo girato intorno, ma un articolo sull’hip hop bianco
non puo’ fare a meno di trattare Eminem. Se non ci fosse lui le riviste
darebbero lo spazio che danno alla Anticon o a EL-P?
Eminem
non e’ solo il rapper delle contraddizioni.
Non e’ solo l’hip hop head che ha sostituito il lettino dello
piscanalista con i dischi, ed ha trasformato se stesso nel narratore, protagonista
e interprete di un one-man show tragicomico. E’ soprattutto l’uomo che ha mostrato che “si
puo’”, che il successo nel mondo del
rap e’ alla portata anche di un bianco.
“8 Mile”, il film dove Eminem e’ protagonista e interprete di Rabbit, un personaggio ispirato a se stesso, ha contribuito a contorcere ancora di piu’ i giochi paranoici di Eminem. Come Eminem, Rabbit ha lasciato la sua tipa e non si sa perche’. Come Eminem, Rabbit incontra un famoso produttore nero che crede in lui. Come Eminem, Rabbit e’ un aspirante rapper bianco che si deve far strada in un mondo di neri. Lo spettatore che vede “8 Mile” e si identifica in Rabbit/Eminem prolunga ed esplicita lo stesso meccanismo che lo ha lanciato in testa alle classifiche. Come ha scritto qualcuno:
“quando Eminem/Rabbit primeggia in una stanza piena di neri non stiamo soltanto guardando la fantasia di un eterno perdente. Stiamo guardando un bianco che schiaccia a canestro in faccia a Shaq”[22]
Ma
dietro a Eminem non c’e’ solo una sotterranea rivalsa razziale. Ci sono tutta
una serie di componenti tipiche della cultura bianca occidentale che con grossolana
semplificazione, mancano nella cultura dell’hip hop nero.
C’e’
l’ambiguita’: Eminem e’ l’artista, Marshall Mathers e’ l’uomo
(e’ quello il suo vero nome all’anagrafe) e Slim Shady e’ una sorta
di persona, il protagonista che di solito parla in prima persona nei
suoi dischi. Ma dove finisce l’uno e inizia l’altro e’ (volutamente) difficile
a dirsi come dimostra il fatto che ne “The Marshall Mathers LP”
c’e’ sia un brano intitolato “Marshall Mathers” che uno intitolato “The Real
Slim Shady”). C’e’ la caricatura: Eminem e’ un ministrel show come
quelli che giravano le citta’ della Frontiera su un carretto per intrattenere
i pionieri. Ci sono le storie che non sai come prendere, come quelle in cui
immagina di torturare e uccidere l’ex moglie e la madre. C’e’ l’ironia: e
basterebbe vedere il video di “The Real Slim Shady”, girato come una gag di
Benny Hill, per confermarlo. C’e’ il compatimento di se stesso, come nell’emo
hip hop di Slug, ma che qui sfuma nell’autoparodia: da “Hallie’s Song”,
la canzone dedicata all’adorata figlioletta, ai versi di “Cleanin Up My Closet”.
« I’m sorry mama
I never meant to hurt you
I never meant to make you cry
But tonight I’m cleaning up my closet. »[23]
(da “Cleanin Up My Closet”)
Sono
tutti elementi che vengono filtrati da una musica orecchiabile, e che sicuramente
sfuggono a un pubblico non avvezzo all’inglese come quello italiano. Ma sono
tutti elementi decisivi nello scenario americano.
E
poi ci sono i suburbs. L’hip hop e’ nato come “musica del ghetto”
nel South Bronx, ma Eminem ha successo perche’ e’ il rapper delle periferie
urbane. E’ difficile spiegare in un articolo in italiano cosa sia un suburb.
La traduzione “sobborgo” e’ sicuramente fuorviante perche’ ha una connotazione
di poverta’ e degrado che e’ fuori luogo. Come ha mostrato in modo geniale
il film “American Beauty”, il suburb e’ il cimitero del sogno americano,
una teoria immane di case singole e tutte uguali dove l’apparenza del benessere
(le macchine, il giardino, le stanze su due piani) nasconde le famiglie allo
sfascio (con percentuali di divorzio da brivido), la solitudine degli individui
(che passano ore al giorno per andare e tornare dal lavoro) e la noia dei
teenager (che non hanno spazi di aggregazione e vengono educati fin dall’infanzia
ad una indifferenza che e’ prima di tutto un’arma di sopravvivenza).
In
questo senso (si veda ad esempio un brano come “White America”), Eminem e’
l’eroe dei suburbs per eccellenza, come aveva gia’ lasciato intendere
un bell’articolo di Alessia D’Artino[24].
Eminem offre ad una gioventu’ alienata l’intrattenimento di una musica “da
neri” (con tutte le fascinazioni che questo comporta), mescolata con le complessita’
tragicomiche che fanno molto hip e con le storie scassate in cui quella
gioventu’ bianca puo’ veramente riconoscersi (e attraverso cui puo’ quindi
conquistare l’anelato street cred).
Per
tutti questi motivi e per essere la pietra di paragone obbligatoria per schiere
di epigoni o presunti tali, Eminem e’ l’equivalente dei Nirvana nel nuovo
millennio.
C’e’
un’altra faccia della medaglia, ed e’ il ricorrente tema della blaxploitation.
In due parole: tutto quello che abbiamo descritto fino ad ora significa forse
che i bianchi stanno “rubando” per l’ennesima volta la musica dei neri?
Nel gia’ citato “8 Mile”, tra i vari insulti con cui i rapper neri umiliano Rabbit/Eminem ce n’e’ uno particolarmente degno di nota: lo chiamano “Elvis”.
« I neri hanno sempre avuto un conto aperto con Elvis. I neri amavano Elvis, ma ogni volta che lo sentivano chiamare re del rock, era come sentirsi piantare un osso di traverso giu’ per la gola, perche’ i bianchi non avrebbero mai riconosciuto un nero –Fats Domino, Little Richard, Chuck Berry – come re del rock »[25].
A sentire molti opinionisti neri le cose non sono cambiate per quanto riguarda l’hip hop:
« Per secoli i bianchi hanno cercato di imitare i neri in ogni modo, maniera, forma o moda. E sono stufo »[26].
A
dire il vero i problemi erano cominciati con Vanilla Ice. Qualcuno
si ricorda di Vanilla Ice e della sua “Ice Ice Baby”, rubata a Bowie e ai
Queen? Che Vanilla Ice incarnasse l’idea del “White Negro” era chiaro fin
dall’inizio. Lo accennava gia’ David Toop nel suo seminale libro sul rap[27]
tirando in ballo il mito tespiano di identificazione.
In
realta’ Ice, che faceva interviste dicendo di essere cresciuto nel ghetto
come i “fratelli neri” quando invece veniva dalla classe media, e’ stato un
disastro, non solo musicale. Dal punto di vista dei neri non era altro che
un bianco che faceva una parodia commerciale del rap da passare su MTV. Per
estensione, quindi, tutto il rap bianco ha cominciato ad essere considerato
dai neri come una parodia commerciale del “vero” rap. E’ lo stesso sillogismo
che porta ad accusare i bianchi di fare parodie commerciali anche del blues
(con Clapton), del soul (con Micheal Bolton) o del jazz (con Kenny G). Ora
Vanilla Ice fortunatamente non c’e’ piu’ ma i punti di vista radicali non
si sono attenuati piu’ di tanto. A ragione o a torto?
Non
avrebbero allora dovuto protestare i “fondatori” dell’hip hop (che e’ nato
a New York e, ancora prima, nel South Bronx) quando le classifiche di vendita
hanno fatto spostare il centro di gravita’ del genere a Los Angeles? Alias,
The Streets e Eminem stanno veramente “scippando” i neri della loro musica
o stanno prendendo “a prestito” una forma espressiva per rielabolarla secondo
un’altra dimensione culturale? Mike Skinner e Doseone avranno veramente un
seguito e l’hip hop diventera’ il nuovo cantautorato bianco oppure le profezie
di quest’articolo si riveleranno troppo azzardate? Lasciando ai posteri il
responso chiudiamo con le parole di Eminem:
« Hey, there’s a concept that works
20 millions other white rappers
emerge »[28]
In
molti stanno aspettando questi venti milioni di rapper bianchi. Staremo a
vedere.
ABBIAMO
PARLATO DI:
ALIAS
The Other Side Of The Looking Glass (Anticon, 2002)
ATMOSPHERE God Loves Ugly (Fat Beats, 2002)
EL-P Fantastic Damage (Def Jux, 2002)
EMINEM The Marshall Mathers LP (Interscope, 2000)
EMINEM The Eminem Show (Interscope, 2002)
SOLE Selling Live Water (Anticon, 2003)
THE STREETS Original Pirate Material (Atlantic, 2002)
[1] Tricia Rose, “Black Noise, Rap Music And Black Culture in Contemporary America”, cap. 1, Wesleyan, 1994
[2] Intervista a Ja Rule, Rolling Stone n. 911,12 Dicembre 2002
[3] Norman Mailer, “The White Negro,” Dissent, IV, Primavera 1957.
[4] Robin D. G. Kelley "Kickin' Reality, Kickin' Ballistics: Gangsta Rap and Postindustrial Los Angeles." in William Eric Perkins, ed., “Droppin' Science: Critical Essays on Rap and Hip Hop Culture”, Temple University Press, 1996, pagg. 117-158.
[5] Oliver Wang, lettera a Hip Hop News, 28 Luglio 1998
[6] Trad: “Non fatevi confondere da tutto quello che ho. Sono ancora, sono ancora la Jenny dell’angolo. Prima avevo poco, adesso ho molto, ma mi ricordo ancora da dove vengo (dal Bronx!)”
[7] “I never called myself a poet; if I am a poet, I have a very limited subject matter and an 8th grade vocabulary. If I am a rapper, why am I such a pussy?” Nota a “The Baddest Poet”.
[8] Trad: “Non ho detto ciao? Oh, quanto sono socialmente morto. Come va? Inserire qualche frase banale.”
[9] Trad: “E’ il miglior amico della depressione che ti da’ di nuovo quel sentimento vuoto, in formato hip hop”
[10] Trad: “Mi piace l’odore dei dischi vecchi e non sopporto lo spring break (lo spring break e’ la settimana di vacanza tra il semestre invernale e quello primaverile in cui i ragazzi americani si danno alle feste piu’ scatenate, ndt), un’altra ragione per la quale mi sono formato da solo la mia educazione. Immagina se tutti potessero essere loro stessi. Oggi ho camminato contro la massa e ridevo sotto I baffi perche’ mi sembrava una cosa ironica “
[11] Trad: “Sono stato in un milione di citta’ ed erano tutte uguali, la gente rideva e parlava allo stesso modo, le ragazze flirtavano allo stesso modo, la gente che lavorava sognava allo stesso modo. Ama il riquadro in cui sei collocato e la tua zone di benezzere, ma non chiedere mai alla persona accanto a te che cosa manca, a parte il tempo, un consiglio o degli intrattenimenti che non siano da bambini. Resta ignorante e lasciati recintare da riforme conservatori finche’ saremo tutti al verde, tassati fino all’osso per finanziare questo sistema di caste. Sopravvivendo per i nostri stereotipi, e io non so niente, ma almeno so. Mentre loro votano per i Verdi, bevono i loro caffe’ e discutono i loro festival di cinema, tutto come se fosse tempo perso”
[12] Trad: “Andate a comprarvi una Playstation 2: il vostro nemico e’ cosi’, una macchia di infrarossi su uno schermo. Scappano da granate da 15 chili, scappano correndo a perdifiato, si riposano, si fermano e si fanno ammazzare, perche’ dio vuole un logo di McDonald’s su ogni Scudo del Deserto. Sto solo cercando di mangiare in modo salutare, ma non c’e’ cibo decente nei distributori di benzina. Molti di noi non riescono piu’ a dormire bene da quando sono stati stuprati. Anche se la scuola pubblica e’ un addestramento militare, non mettete dell’acido nel caffe’ dell’insegnante. Leggete degli Anni ’20, degli Anni ’40, degli Anni ’60. Fate una passeggiata, prendete un diploma qualsiasi e andate all’Universita’ di Berkeley”
[13] Trad: “Rilassatevi sul vostro trono, spegnete il telefono, perche’ questa e’ casa nostra. Video, televisione, Commodore 64, Playstation, un po’ di erba e un po’ di Benson”
[14] Trad: “Puntare al cielo, sentirsi liberi. Un mare di persone tutte uguali sorride davanti e dietro di me. Nuotare nel mare blu e profondo. I campi di granturco ondeggiano pigri. E’ tutto un sorriso, e’ tutto facile, di dove sei, cosa ti sei fatto, qual’e’ la tua storia […] Sorridiamo tutti, cantiamo tutti. I deboli diventano eroi e le stelle si allineano. Cantiamo tutti, cantiamo tutti, cantiamo tutti”
[15] Beppe Recchia, “The Streets. London Bridge’s burning down”, Blow Up n. 57, Febbraio 2003
[16] Trad: “Lei mi ha abbandonato, lasciato nel freddo. Non mi sorprende, immagino che sia cosi’ che vanno le cose”
[17] Trad: “Vaffanculo Lucy perche’ mi hai lasciato. Vaffanculo Lucy perche’ non hai bisogno di me. Voglio dirti vaffanculo perche’ ti amo ancora”
[18] Sam Chennault, recensione di “God Loves Ugly”, Pitchfork (www.pitchforkmedia.com), 5 Luglio 2002
[19] Intervista a EL-P, URB n. 94, Luglio 2002
[20] Trad: “Una sensazione strana di prende allo stomaco quando la tua mammina piange, qualcosa a meta’ tra stordinmento e confusione, e rimugini i tuoi pensieri su come si possa stradicare la tristezza da tua mamma, bruciarla, farla a pezzi, sconfiggerla, dimenticarla, cosi’ che tu ti possa concentrare sui dolci e sulle bambole o su qualsiasi cosa cui sarebbe normale che i bambini pensino”
[21] Trad: “La fiducia e’ un elettrodomestico schiacciata dalla Pol Pottery. Le tue leggi da biscotto della fortuna contengono degli errori di filosofia mentre rotolano giu’ da una rampa di scale alla Escher Bach”
[22] William Bowers, recensione del film “8 Mile”, Pitchfork, 21 Gennaio 2003
[23] Trad: “Scusa mamma, non volevo ferirti, non volevo farti piangere, ma stasera sto svuotando il mio sgabuzzino”
[24] Alessia D’Artino, “Eminem”, su Rockerilla, Novembre 2002
[25] Leonard Pitts, “Role Reversal for White Rappers”, Knight Ridder/Tribune, 19 Novembre 2002
[26] Scott Little, “I Got The Beat”, The Observer n. 127, April 2000
[27] David Toop, “Rap Attack”, terza edizione, Serpent’s Tail, 2000
[28] Trad: “Ehi, c’e’ un’idea che funziona: altri venti milioni di rapper bianchi verranno fuori”